Il bisogno di accettazione e appartenenza ad un gruppo sociale, così come la necessità di sentirsi sicuri all’interno delle relazioni interpersonali, sono delle caratteristiche essenziali che accomunano tutti gli esseri umani e che motivano i comportamenti che ognuno di noi mette in atto quotidianamente.
La possibilità di soddisfare in modo adeguato di questi bisogni gioco un ruolo cruciale sul nostro sviluppo, sul nostro benessere e sulle modalità con le quali reagiamo al mondo che circonda. Una delle maggiori minacce al soddisfacimento di questi bisogni è il rifiuto che ognuno di noi può subire da parte degli altri. Fare esperienze ripetute di diverse forme di rifiuto sociale nel corso della vita contribuisce a generare ciò che viene definito la sensibilità al rifiuto.
La sensibilità al rifiuto è stata definita come una disposizione individuale ad aspettarsi con preoccupazione, a percepire con elevata rapidità e a reagire con altrettanta intensità a diverse forme di rifiuto.La sensibilità al rifiuto va immaginata come una dimensione all’interno della quale ognuno di noi si può collocare. Per cui, le persone che sono caratterizzate da dei bassi livelli di sensibilità al rifiuto appaino come degli individui estremamente controllati anche di fronte a diverse forme di rifiuto sociale. Per contro, le persone caratterizzate da alti livelli di sensibilità al rifiuto rispondo spesso in modo disadattivo al rifiuto, compromettendo in tal senso il proprio benessere e le relazioni con gli altri.
Gli individui che nella loro vita hanno sperimentato frequente diverse forme di rifiuto dalle persone ritenute di grande importanza nella loro vita sono inclini a sviluppare delle reazioni difensive al rifiuto, per lo più di natura ansiosa o aggressiva.
In particolare, quanto più la sensibilità al rifiuto risulta essere marcata, tanto più la persona sarà incline a percepire nell’ambiente ogni indizio che può richiamare a possibili rifiuti da parte degli altri. Di conseguenza, quanto più la sensibilità al rifiuto è elevata, tanto più la persona è tendente ad interpretare ogni segnale all’interno delle relazioni interpersonali come un effettivo rifiuto. Questo assetto conduce a sviluppare particolari reazioni sia cognitive (es. “cosa ho fatto per essere rifiutato?” “è mai possibile che incontro sempre persone che non mi capiscono…”) che emotive (es. sentirsi feriti, arrabbiarsi) che comprometto sia il benessere della persona, sia spingono a mettere in atto dei comportamenti (es. ritiro sociale, aggressività verbale o fisica) che compromettono le relazioni nelle quali la persona è ingaggiata.
Secondo alcune prospettive teoriche, la personalità sarebbe definita dall’organizzazione che ognuno di noi costruisce nel corso del tempo di processi di elaborazioni delle informazioni, di aspettative e di credenze che si hanno rispetto a noi stessi, agli altri e al mondo, di obiettivi e valori, di competenze e capacità e di auto-regolazione e auto-realizzazione.
All’interno di questa visione, la sensibilità al rifiuto può essere vista come un pattern della nostra personalità caratterizzato da specifici processi di elaborazioni delle informazioni, aspettative e reazioni emotive e comportamentali che si attivano quando la persona si trova ad interfacciarsi con specifiche situazioni.
In questo contesto, tanto più la sensibilità al rifiuto diventa un fattore caratterizzante il funzionamento della persona, tanto i suoi processi percettivi saranno orientati alla ricerca di segnali di rifiuto nell’ambiente, le aspettative di rifiuto diventando di fatto certezze, le reazioni emotive diventeranno sempre meno variegate e di fatto anche i possibili comportamenti che la persona sarà in grado di mettere in atto.
In altre parole, tanto più la sensibilità al rifiuto diventa un aspetto fondante della personalità dell’individuo, tanto più la sua vita sarà incentrata nella gestione degli abbandoni da parte degli altri, tralasciando sullo sfondo altri aspetti importanti della propria vita e di fatto limitando significativamente le proprie possibilità di realizzazione.
Certamente, le situazioni interpersonali all’interno delle quali vi è la possibilità di essere rifiutati sono il contesto nel quale si può descrivere al meglio la sensibilità al rifiuto.
Nel dettaglio, le persone caratterizzate da elevata sensibilità al rifiuto fanno automaticamente esperienza di un senso di essere esposti ad una possibile minaccia alla quale si associa un crescente stato emotivo negativo di allerta che guida l’individuo a cercare nell’ambiente ogni possibile segnale che gli possa suggerire degli indizi reali del rifiuto.
Questo stato di allerta comporta spesso un amplificazione sia delle intenzioni altrui, così come porta spesso ad interpretare dei segnali che per loro natura sono ambigui come degli assoluti rifiuti o abbandoni. In questo stato, la persona si trova in maggiore difficoltà nell’utilizzare delle abilità riflessive, e coerentemente con la presenza di una minaccia, reagisce in modo automatico con comportamenti di fuga o di aggressione, generando così un reale abbandono o rifiuto.
In questo senso, quindi, le persone caratterizzate da un’elevata sensibilità al rifiuto vivono in quella che potremmo definire una dolorosa “profezia che si auto-avvera”, confermando così costantemente le proprie aspettative e convinzioni, al caro prezzo di un crescente stato di insoddisfazione e di una profonda e rovinosa caduta della propria autostima.
Alla luce di quanto descritto fino ad ora, una degli elementi sul quale si quale si fonda la sensibilità al rifiuto è come la nostra attenzione viene direzionata. Infatti, se è vero che quanto più la sensibilità al rifiuto è marcata tanto più la persona è automaticamente indirizzata a cercare nell’ambiente degli indizi che possano giustificare la sua preoccupazione rispetto a possibili rifiuti, è altrettanto vero che sviluppare un maggiore controllo della nostra attenzione ci viene in supporto nel modulare questa tendenza.
Infatti, ognuno di noi, in ogni momento della propria vita, è in grado di rinforzare il controllo cosciente della propria attenzione. In questo questo, avere un maggiore controllo della nostra attenzione vuol dire essere consapevoli del nostro livello di sensibilità al rifiuto, ovvero chiedersi quanto le relazioni con gli altri sono vissute in senso minaccioso, iniziare ad accorgersi dei propri automatismi relativi al confermare le nostre paure, e infine, iniziare a sviluppare un processo del tutto contrario a quello che spingerebbe a mettere in atto la nostra sensibilità al rifiuto:
passare dall’attenzione ai piccoli dettagli ad una visione sempre più globale della situazione relazione nella quale siamo immersi
Dott. Marco Cavicchioli